La nave caduta lo scorso inverno è stata la metà; in Italia ci sono 652 strutture sciistiche dismesse o a serio rischio; in molte località montane le temperature sono aumentate di più di 3 gradi centigradi: il quadro preoccupante del report Nevediversa sullo stato del turismo invernale.
L’Italia, insieme a tutto il Mediterraneo, è un hotspot del cambiamento climatico: qui la temperatura media sta aumentando a ritmi più accelerati. Sulle Alpi questa dinamica è evidente e le conseguenze sono più gravi. La neve caduta lo scorso inverno è stata quasi la metà rispetto alla media perché le temperature stanno crescendo a una velocità doppia rispetto a quelle medie globali. Lo denuncia il report di Legambiente Nevediversa, che sottolinea che le nevi delle Alpi provvedono al 60% dell’alimentazione del fiume Po e che quindi gli effetti sulla siccità saranno ancora più gravi nel 2023.
Lo studio racconta come stanno vivendo gli impianti sciistici italiani, in condizioni sempre più difficili perché per il 90% delle piste ormai dipende dalla neve artificiale. Neve artificiale che non è solo fortemente energivora ma ha costi sempre crescenti – dai 2 euro a metro cubo del 2022, ai 7 toccati nel 2023 – con pesanti conseguenze sul settore.
La “fine di un’epoca”, secondo Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, che afferma che “se le temperature aumenteranno oltre una certa soglia, l’innevamento semplicemente non sarà più praticabile se non in spazi molto ristretti di alta quota, in luoghi dove i costi già elevati della neve e della pratica sportiva subiranno incrementi consistenti, tanto da permettere l’accessibilità dello sci alpino unicamente ad una ridotta élite, così come accadeva nel passato”.
Nevediversa riporta che, per soddisfare gli appetiti del turismo invernale, già oggi si utilizzano 97 milioni di metri cubi d’acqua all’anno per fabbricare neve artificiale: il consumo idrico di una città da un milione di abitanti.
E se la neve non c’è più è perché la stragrande maggioranza delle località ha registrato incrementi delle temperature medie di oltre 2 gradi rispetto al 1961. Alcune località si sono riscaldate addirittura di più di 3 gradi: Gressoney (+3,4 gradi) e Breuil-Cervinia, frazione di Valtournenche (+3,6 gradi) in Val d’Aosta, Mottarone, località di Stresa, (+3,1 gradi) e Formazza (VCO) in Piemonte (3,3 gradi). Quelle che hanno registrato un aumento maggiore sono in Lombardia, in provincia di Sondrio: Prato Valentino, località di Teglio (3,9 gradi), Aprica (3,9 gradi) e Livigno (3,7 gradi).
I costi straordinari sostenuti dal settore del turismo invernale per mantenere in vita un’attività che è destinata a diventare, nella migliore delle ipotesi, un privilegio delle famiglie agiate hanno costretto alla dismissione 15 impianti sciistici nell’ultimo anno, che si aggiungono a tre temporaneamente chiusi e a 33 in “accanimento terapeutico”, che cioè consumano più risorse di quante non riescano a produrne.
Già oggi nelle aree montane italiane ci sono 652 strutture turistiche dismesse o a serio rischio di chiusura. Urge quindi ripensare al futuro della montagna in un’ottica ecosostenibile, per un turismo che non sia solo prerogativa dei più abbienti, ma che sia al servizio di tutti, per il rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi: per una montagna che accolga biodiversità ed esseri umani, senza distinzioni di alcun genere.
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