“Le energie del mondo” e le nostre scelte “ideologiche”: il nuovo libro di Gianluca Ruggieri

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26 Giugno 2025

Ogni scelta energetica è sempre anche una scelta politica. Come orientarsi tra fossile, nucleare e rinnovabili. Intervista a Gianluca Ruggieri su “Le energie del mondo”.

Quando sentite parlare di “ideologia” o di “neutralità tecnologica” diffidate: qualsiasi scelta energetica è anche una scelta politica e chi si presenta come oggettivo e neutrale o è ingenuo o in malafede. Questo è uno dei messaggi chiave del nuovo libro di Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, ricercatore all’Università dell’Insubria, e da maggio 2025 nuovo presidente di ènostra. Le energie del mondo. Fossile, nucleare, rinnovabile: cosa dobbiamo sapere (Laterza Editori) è un vero e proprio bignamino dell’energia, uscito nella bellissima serie FiliRossi con tanto di grafici e illustrazioni a colori.

Questa intervista all’autore è tratta dall’incontro “L’energia è politica” organizzato dalla redazione de Il Giusto Clima in occasione della Festa di Radio Popolare All You Need is Pop.

La prima accusa che viene fatta agli ambientalisti è quella di essere “ideologici”. Ma è possibile parlare di energia senza avere un posizionamento politico?

Di recente ho fatto da moderatore a un dibattito sul nucleare. Il relatore più favorevole a questa tecnologia ha detto: “in presenza del mercato elettrico, nessuno investirà mai sul nucleare. Ma chi l’ha detto che deve esserci il mercato elettrico? Dovrebbe essere lo Stato a farsi carico della fornitura di energia e quindi eventualmente a investire nel nucleare se lo ritiene giusto”.

E io gli ho risposto: “Grazie per quello che hai detto perché hai dimostrato perfettamente come nessun discorso sull’energia è possibile senza inquadrarlo in un qualche modo ideologicamente“.

Pensare che sia giusto avere un mercato elettrico o che debba essere lo Stato a occuparsi dell’energia non è una questione tecnica ma politica: ha a che fare con la nostra visione del mondo. Poi possiamo discutere i pro e i contro di ciascun modello e presentare i dati in maniera onesta e scientifica. Ma l’interpretazione che ne daremo sarà inevitabilmente condizionata dalla nostra “ideologia”, dalla nostra visione del mondo. E non potrebbe essere altrimenti.

Uno dei motivi per cui in ènostra abbiamo lavorato tanto sul tema delle rinnovabili è perché quel modo di fare energia dal basso, con il protagonismo dei cittadini e delle cittadine, è il più vicino alla nostra visione ideale.

Alcuni parlano di crisi o addirittura di morte del Green Deal europeo. Tu come la vedi?

Il Green Deal è un insieme di tante normative: è vero che su alcune ci sono stati negli ultimi mesi dei rinvii o degli indebolimenti, ma i provvedimenti cuore della decarbonizzazione in realtà ci sono ancora tutti.

Tanto è vero che è stato confermato che l’UE è sulla strada giusta per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55% al 2030. Di qui a breve avremo una serie di discussioni importanti, come ad esempio il target intermedio di riduzione delle emissioni del 90% al 2040 e lo stop alla vendita di auto a motore termico entro il 2035. Queste saranno le due questioni principali che ci faranno capire effettivamente quanto è grave la crisi del Green Deal.

Un altro problema generale del Green Deal è che fin dall’inizio è stato concepito con un approccio di mercato, molto carente nel prendersi carico delle ricadute sociali. Il rischio, e lo vediamo bene, è che il costo della transizione ricada sulle spalle di chi già fa fatica. Questo tema è sempre stato presente nel manifesto costitutivo dei Fridays for Future. Noi abbiamo una trasmissione che non a caso si chiama “Il Giusto Clima”. Ma l’UE su questo per ora non ha dato segnali sufficientemente forti.

Insomma, se non facciamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze, se non facciamo una grande operazione di ridistribuzione dei redditi, è difficile che riusciremo a fare una transizione giusta.

“Se volete essere certi di litigare con qualcuno, entrate in un bar e iniziate a parlare di energia nucleare. Non è tanto importante cosa diciate, in ogni caso qualcuno che si arrabbia lo troverete”. Così inizia uno dei capitoli del tuo libro. Qual è la tua posizione al riguardo?

Nessuno può negare che l’energia nucleare da 50 anni ha un ruolo nel sistema energetico globale e lo avrà probabilmente anche nei prossimi 50 anni.

Nel suo massimo momento di gloria, il nucleare ha coperto il 15-16% dell’energia elettrica mondiale. A quei tempi l’energia elettrica era il 20% del totale dell’energia, quindi stiamo parlando di una quantità molto moderata.

Tutto lascia pensare che, anche se dovessero aumentare significativamente le installazioni, il nucleare continuerà ad avere un ruolo marginale. Parallelamente, la stragrande maggioranza dei paesi non avrà impianti nucleari e quindi si dirigerà verso un sistema 100% rinnovabili.

Il tema quindi non è se il nucleare avrà un ruolo, ma se ha senso in un paese come il nostro.

Da noi sembra non si possano fare discorsi sull’energia senza parlare anche di nucleare. Eppure abbiamo una serie di questioni. L’Italia è uno dei paesi più sismici d’Europa. La stragrande maggioranza dei Comuni ha problemi di dissesto idrogeologico. La densità di popolazione è elevata. Siamo esposti al problema dell’innalzamento del mare. Non abbiamo una agenzia nazionale per la sicurezza nucleare. Non abbiamo neppure saputo localizzare un deposito per i rifiuti a bassa intensità. Siamo uno dei paesi più indebitati d’Europa (e abbiamo visto che senza soldi pubblici il nucleare non si fa). E via dicendo.

C’è una serie di motivi che ci lasciano pensare che, se proprio bisogna farlo da qualche parte, forse non è dall’Italia che bisognerebbe iniziare.