L’unica guerra da combattere è quella contro la crisi climatica
;La campagna di ènostra contro il riarmo e per una transizione giusta
Il mondo si dirige pericolosamente verso il superamento della soglia di 1,5°C. Alluvioni, incendi, ondate di calore sono diventati ormai la nuova normalità e causano morti quasi quotidianamente. Di fronte a questo scenario l’Europa, fragile continente hotspot della crisi climatica, mette da parte la priorità del Green Deal e sceglie di indirizzarsi verso un futuro a tinte fosche dove 800 miliardi di euro vengono stanziati in nome della “difesa” e di investimenti bellici.
È un trend che si osserva anche nel resto del mondo: nel 2024 per il decimo anno consecutivo la spesa militare globale è cresciuta, aumentando del 9,4% rispetto al 2023. E nel vertice di giugno 2025 gli Stati NATO hanno concordato di raggiungere l’obiettivo del 5% del PIL: tutti fondi pubblici deviati da spese di welfare sociale e tutela ambientale, che potrebbero servire ad abbandonare le fonti fossili, e costruire una società di pace e uguaglianza.
Si dice che bisogna armarsi per prevenire le guerre, come forma deterrenza: ma che cos’è il militarismo se non il processo tramite il quale la guerra e il conflitto armato diventano possibili? Che cos’è il riarmo se non la preparazione alla guerra, la sua normalizzazione e legittimazione?
La guerra alimenta la crisi climatica e distrugge l’ambiente
Le nefandezze e atrocità che la guerra compie contro gli esseri umani sono sempre accompagnate da violenza anche nei confronti degli altri esseri viventi e dell’ambiente. Per questo è un paradosso parlare di militarismo green: non c’è tutela della natura senza fine delle guerre. E la devastazione ambientale parte ancora prima che inizino i conflitti, con la produzione di armi: dall’estrazione di minerali e metalli necessari, la produzione, i test e il loro smaltimento.
Nell’Accordo di Parigi è stato stabilito che gli eserciti sono esenti dalla rendicontazione delle emissioni, nonostante la loro impronta sia molto rilevante nel bilancio carbonico globale: le forze armate nel mondo sono responsabili del 5,5% delle emissioni globali di gas serra. Se fossero un paese, sarebbero il quarto maggior emettitore nazionale al mondo, dopo Cina, India e USA e superando la Russia.
Per citare solo uno degli oltre 100 conflitti armati attualmente in corso nel mondo, nei primi tre anni di guerra in Ucraina sono state prodotte più di 200 milioni di tonnellate di CO2: più di quelle generate ogni anno da Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia insieme.
Ma non potrebbe esserci un esempio più calzante del conflitto israelo-palestinese per mostrare che la distruzione degli esseri umani avviene sempre insieme a quella degli equilibri climatici, degli ecosistemi e della biodiversità. Oltre alle emissioni generate, che dal 7 ottobre 2023 all’inizio del 2025 sarebbero superiori a quelle annuali di 36 paesi, il genocidio del popolo palestinese ancora in corso è al tempo stesso un ecocidio. La striscia è stata quasi completamente rasa al suolo e interi ecosistemi distrutti per sempre.
L’intimo legame tra fonti fossili e guerre
Storicamente le forze armate hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo e nel mantenimento dell’economia globale dei combustibili fossili, mentre numerosi conflitti sono stati combattuti proprio per il controllo di gas e petrolio, e non solo in Medio Oriente.
L’intimo legame tra industria fossile e bellica è stato approfondito in numerosi report, come “Banking on climate chaos” che mostra come i grandi colossi finanziari del fossile compaiono anche come i principali investitori nell’industria bellica.
Michael L. Ross parlava de “La maledizione del petrolio”, riferendosi al fatto che i paesi ricchi di idrocarburi a partire dagli anni ’70 hanno avuto il 50% di probabilità in più di sviluppare forme di autoritarismo e il doppio delle probabilità di piombare in una guerra civile.
Insomma, sono decenni che report, studi, analisi denunciano che le fonti fossili non solo sono alla base dell’attuale crisi ecologica e sono responsabili di una morte su cinque nel mondo a causa dell’inquinamento atmosferico che provocano, ma contribuiscono anche ad alimentare conflitti e diseguaglianze. Eppure ancora oggi si continuano a giustificare investimenti in gas e petrolio in nome della “sicurezza energetica”.
Liberarci da petrolio, gas e carbone potrebbe renderci indipendenti energeticamente, liberarci dal ricatto di oligarchi e petrostati e contribuire a un mondo con più pace.
Abbiamo l’opportunità di avere accesso tutte e tutti a una fonte di energia illimitata e con un forte potenziale democratico, che può emanciparci dalle fonti fossili. “L’energia solare non è diversa solo perché non produce anidride carbonica”, ha scritto il celebre attivista statunitense Bill McKibben in un articolo intitolato “Solar is Liberation”, ma anche perché a differenza delle fonti fossili “il sole non può essere rinchiuso, tenuto in ostaggio, riscattato”.
Per questo dobbiamo investire in un futuro di energia pulita e di giustizia climatica, per una transizione ecologica giusta. Gli investimenti e i fondi UE vanno indirizzati a una transizione giusta, alla diffusione capillare delle fonti rinnovabili sul territorio europeo, al Fondo Sociale per il Clima, all’efficienza energetica, all’accesso all’elettricità pulita per tutte e tutti, alle comunità energetiche rinnovabili e a molto altro.
ènostra vuole contribuire a mettere in luce il legame distruttivo tra guerra e fonti fossili, aderendo alla settimana di azione globale per la pace e la giustizia climatica del 15-21 settembre 2025. Partecipa anche tu!
Contribuisci anche tu all’abbandono delle fonti fossili, a una società più libera e democratica, a una transizione energetica giusta. Diventa socio/a della cooperativa, contribuisci alla transizione alle rinnovabili!