“Le Note del Prof”: le terre rare, tra Cina, USA e industrie mancate
;Nell’editoriale per Il Giusto Clima, Gianluca Ruggieri parla dell’accordo Cina-USA sulle terre rare, del quasi monopolio cinese e delle mancate politiche industriali occidentali

Se spesso il termine “terre rare” viene usato a sproposito e confuso con il più ampio “materiali critici”, non è il caso di queste ultime settimane. Infatti sono proprio loro – le terre rare – al centro del braccio di ferro e dell’accordo tra Cina e USA.
Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici che includono lo scandio, l’ittrio e i 15 lantanidi. In realtà non sono poi così rare, ma piuttosto sono presenti in maniera diffusa, ovvero poco concentrata e quindi spesso sono difficili o comunque molto costose da estrarre.
Spesso si parla delle terre rare per gli utilizzi in alcune tecnologie della transizione energetica. Ad esempio nei magneti permanenti, usati nelle tecnologie che ruotano attorno a un’asse. Li troviamo per esempio nelle turbine eoliche o nei motori elettrici. Nei magneti permanenti è molto importante il neodimio che è appunto una delle 17 terre rare.
L’accordo Cina-USA e il quasi monopolio cinese
In queste settimane si è parlato tanto di terre rare perché la Cina ha annunciato uno stop all’esportazione di questi minerali provocando una serie di reazioni: prima l’ira di Trump, poi la trattativa tra il presidente USA e Xi Jimping, chiusa il 30 ottobre a Taipei, con cui si è concordata una proroga di un anno alle restrizioni.
Cosa rende così importanti questi 17 elementi? Innanzitutto il fatto che la Cina detenga circa due terzi delle riserve mondiali. Ma soprattutto, il fatto che sia padrona del 90% della filiera della raffinazione e separazione delle terre rare.
Nel momento in cui dovesse decidere di fermare le esportazioni, questo avrebbe degli impatti molto rilevanti per tutte le industrie che usano questi elementi.
Le terre rare servono anche al Pentagono
Ma allora uno potrebbe chiedersi: perché gli Stati Uniti, che hanno deciso di rinunciare a qualsiasi investimento nel campo della transizione energetica, dovrebbero essere interessati al mercato delle terre rare?
Perché in realtà nelle terre rare ci sono anche elementi fondamentali per le tecnologie aerospaziali e della difesa, e altri che vengono utilizzati nella raffinazione petrolifera. Oltre che essenziali, sono ancora meno sostituibili rispetto alle terre rare che si utilizzano nei motori elettrici.
Ad esempio, nei motori elettrici al posto dei magneti permanenti fatti di neodimio si potrebbero utilizzare dei magneti ad avvolgimento. Ma negli utilizzi per la difesa o nell’industria petrolifera queste sostituzioni sono più complicate da fare e quindi l’interesse degli Stati Uniti deriva proprio da questi usi non collegati alla transizione.
Un interesse dimostrato anche dal fatto che il Pentagono sta raccogliendo un miliardo di dollari in minerali critici (tra cui le terre rare): notizia di cui si è parlato molto meno.
Doppio standard sulla transizione energetica
Ancora una volta si dimostra come alle tecnologie della transizione e alle rinnovabili in particolare sia riservato un trattamento del tutto eccezionale. Faccio un esempio banale: storicamente in Cina si è concentrata la produzione di computer, e soprattutto di tablet e smartphone. Questo non sembra costituire un problema, mentre lo diventa immediatamente quando si parla di pannelli fotovoltaici.
E così di terre rare parliamo solo quando servono per la transizione ma non quando si parla di difesa e di aeronautica.
Tre riflessioni per noi
Ma ci sono tre importanti lezioni che ci portiamo a casa da questa storia.
Primo, per l’ennesima volta subiamo gli esiti della totale mancanza di politiche industriali che ha segnato quello che una volta avremmo chiamato l’occidente, quindi gli Stati Uniti, l’UE e il Regno Unito negli ultimi trent’anni. Governi schiavi di un’ideologia liberista che hanno deciso di rinunciare a fare politiche industriali statali che in alcuni settori sono evidentemente irrinunciabili. Il risultato è che la Cina è diventata quasi monopolista per alcune di queste filiere.
Secondo, i problemi non derivano dalle tecnologie della transizione ma dal modello industriale che abbiamo sposato in questi decenni: un modello di totale trasferimento all’estero di questi processi produttivi e di alcuni processi produttivi critici.
Terzo: quello che sembra impossibile quando si parla di transizione, immediatamente diventa possibile (anche se non comunicabile) quando si parla di tecnologie della difesa.
“Le Note del Prof” è il titolo della rubrica settimanale energetica a cura di Gianluca Ruggieri, in onda tutti i mercoledì sera a Il Giusto Clima su Radio Popolare. Questo testo è tratto dall’editoriale della puntata del 29 ottobre 2025.


