“Il cibo è politica”: per l’ambiente dobbiamo tornare ad essere cittadini e non consumatori
;La sostenibilità del cibo non dipende dalle nostre scelte individuali, ma dall’azione collettiva e politica, dice Fabio Ciconte nel suo nuovo libro
“Quando mi chiedono ‘che cosa posso fare come consumatore?’, rispondo ‘niente’, mentre se mi chiedono ‘cosa possiamo fare come cittadini’, rispondo ‘tutto’”. Questa frase è il cuore di Il cibo è politica, un libro che si legge d’un fiato, pubblicato di recente da Einaudi e scritto da Fabio Ciconte, esperto di filiere alimentari, cofondatore dell’associazione ambientalista Terra! e presidente del Consiglio del cibo di Roma.
Negli ultimi anni ci siamo rifugiati nei comportamenti individuali: “bisogna mangiare meno carne”, “comprare bio”, “non sprecare cibo”: sono tutti ottimi consigli che però inducono a concentrarsi sull’azione del singolo e spesso ad alimentare il senso di colpa, quando non si riesce ad essere ecologici nella spesa di tutti i giorni.
Invece la sostenibilità del cibo e la chiave della crisi ecologica dipendono dalla politica e dall’azione collettiva. Abbiamo intervistato Fabio Ciconte a Il giusto clima, nella puntata del 23 aprile, riascoltabile qui a minuto 34.
Fabio, cosa intendi quando dici che come consumatori non possiamo fare niente?
Intendo dire che purtroppo, negli ultimi 15-20 anni, abbiamo sempre più spesso concepito la sostenibilità del cibo come tema individuale, rivolto al consumo. Questo ci ha fatto dimenticare quali sono i responsabili veri delle crisi che stiamo attraversando.
Attenzione, non significa che non dobbiamo fare acquisti consapevoli, ma bisogna farlo con una chiave di lettura diversa, smettendo di considerare noi stessi come meri consumatori e iniziando invece a pensarci come cittadine e cittadini: persone che fanno parte di una collettività. Ecco, diciamo che è un invito a riprendere parola collettivamente, cosa di cui abbiamo davvero bisogno in questo periodo.
Parliamo di Europa: nel libro ripercorri le vicende che, passando per l’introduzione del Green Deal, il Covid, l’invasione russa dell’Ucraina e le proteste dei trattori, hanno condotto alla situazione attuale in cui le politiche ambientali europee sono sempre più indebolite. Ci aiuti a ripercorrere che cos’è successo?
Diciamo che mentre noi ci concentravamo sui nostri acquisti individuali, l’invasione russa dell’Ucraina (spesso chiamata erroneamente “il granaio d’Europa”, ndr) è stata la scusa perfetta per invocare l’urgenza dell’autosufficienza alimentare e indebolire la strategia ambientalista Farm to Fork.
L’idea che si dovesse mettere da parte la sostenibilità ambientale per consentire all’Europa di produrre cibo a sufficienza si è insinuata tanto che in questi anni la strategia Farm to Fork è stata gradualmente smantellata: qualche settimana fa, a riprova di tutto questo, la Commissione ha pubblicato un documento molto importante che si chiama Vision for Agricolture and Food. In quel documento è sparita la parola “Green Deal”, così come “Farm to Fork”.
Di questi tempi è quindi fondamentale reimparare a guardare i grandi interessi che si muovono intorno ai sistemi alimentari – ad esempio le grandi istituzioni finanziarie – e anche contrastarli. Non dimentichiamoci che quando si fanno le battaglie sociali, di piazza, quando si protesta a partire dalla conoscenza dei fenomeni e dalla complessità, le battaglie si vincono anche.
Che cosa possiamo fare?
Iniziamo smettendo di chiamarci “consumatori”. Poi c’è una serie di battaglie, in primis quella dei salari, che in realtà è una delle lotte più ecologiste che si possano fare.
Perché il problema è anche economico, e non solo in Italia: non possiamo caricare sulle spalle del consumatore tutta la responsabilità se non facciamo una battaglia per dei salari dignitosi.
E poi, nelle città stanno nascendo dei movimenti sulle politiche locali del cibo, perché trasformare il modo in cui il cibo nei contesti urbani viene prodotto, lavorato e poi buttato via è essenziale per il futuro dei sistemi alimentari. Credo che uno dei passi fondamentali sia prendere parte a questi movimenti nelle città d’Italia, come per esempio a Roma, dove presiedo il Consiglio del Cibo, un organismo collettivo e collegiale che sta provando esattamente a dare questo tipo di risposte.