Agrivoltaico: uno studio del Polimi sul potenziale a livello globale
;Sarebbero il 22-35% le colture nel mondo che potrebbero trasformarsi in terreni agrivoltaici senza ridurre la loro produttività o addirittura beneficiando dell’ombreggiatura

Che gli impianti fotovoltaici a terra entrino in competizione con l’agricoltura è indubbio. Ma quanta terra è sottratta alle colture? E l’agrivoltaico è un’alternativa valida, in grado di tutelare le aree agricole? Alcuni ricercatori e ricercatrici del Politecnico di Milano hanno pubblicato uno dei primi studi sull’argomento con dati di rilevanza globale.
Secondo il paper uscito sulla rivista scientifica Earth’s Future, l’installazione di impianti fotovoltaici nel mondo ha provocato una perdita di colture nel 13-16% dei casi. Questo significa che nella maggior parte degli altri casi le aree adibite alla produzione di energia solare sono state sottratte a terreni aridi, semiaridi o a basso valore ecosistemico.
Se guardiamo alla totalità della superficie agricola nel mondo, solo lo 0,02% è stata convertita in parchi fotovoltaici. Ma siccome per elettrificare i nostri consumi e abbandonare le fonti fossili abbiamo bisogno di installare sempre più impianti fotovoltaici, il loro conflitto con l’agricoltura è un tema spinoso di cui dovremo occuparci sempre di più. Uno dei modi per risolvere il problema è il famoso agrivoltaico, di abbiamo parlato a Il Giusto Clima con Nikolas Galli, coautore dello studio.
In questo studio sull’agrivoltaico nel mondo avete analizzato l’impatto della riduzione dell’irraggiamento solare dovuto ai pannelli fotovoltaici su 22 colture diverse. Che cosa avete scoperto?
Abbiamo rilevato che nel mondo il 22-35% delle superfici agricole non irrigue potrebbero ospitare impianti agrivoltaici senza perdite significative in termini di produttività agricola.
In alcuni casi infatti l’ombreggiamento garantito dai pannelli fotovoltaici ridurrebbe lo stress idrico di queste colture che non sono irrigate.
La nostra è una delle prime ricerche con l’ambizione di disegnare una mappa globale del potenziale agrivoltaico, utilizzando strumenti di modellazione biofisica.
Ci sono anche delle colture che aumenterebbero la loro produttività?
Chiaramente ciò dipende sia dal clima sia dal tipo di coltura. Secondo il nostro modello potrebbero trarne beneficio ad esempio alcune cerealicole come il grano, in climi tendenzialmente aridi.
Quali sono le differenze territoriali più forti che avete rilevato in questa ricerca che ha un’ambizione di mappatura globale?
Grazie a questa ricerca abbiamo potuto esplorare zone del Sud del mondo che raramente vengono analizzate negli studi sull’agrivoltaico. Abbiamo rilevato che, oltre al bacino del Mediterraneo, potrebbero beneficiare dell’agrivoltaico in particolare le macroaree del Sahel e dell’India.
Legambiente ha pubblicato un comunicato sullo slancio dell’agrivoltaico in Italia: oltre la metà dei 304 pareri VIA rilasciati dalla commissione PNRR PNIEC del MASE lo scorso anno riguardavano proprio su progetti di agrivoltaico. Ma tanti agricoltori sono contrari, perché si accusa l’agrivoltaico di rubare terra alle colture. Come commenti la situazione attuale in Italia?
In Italia il paesaggio agricolo è anche patrimonio storico-culturale, quindi c’è giustamente un’attenzione maggiore rispetto ad altri luoghi. Per essere agrivoltaico, il fotovoltaico non deve essere installato a spese dell’agricoltura, altrimenti diventa una speculazione.
L’agrivoltaico si basa proprio sulla sinergia tra le due attività e il reciproco beneficio. In definitiva credo ci sia un forte bisogno di ulteriori ricerche, ma anche di un quadro normativo che prevenga le speculazioni mascherate da agrivoltaico e che, quindi, accompagni la transizione tecnologica perché avvenga in modo giusto.
Rispetto al resto del mondo, come valuti i benefici che l’agrivoltaico potrebbe generare in Italia?
Dal punto di vista biofisico l’agrivoltaico funziona bene nelle colture in cui lo stress idrico è un fattore limitante per la crescita delle colture più della mancanza di radiazione solare. L’Italia rientra abbastanza bene in questa casistica.
Dal punto di vista dell’implementazione vera e propria, l’Italia ha una morfologia molto complessa, un’agricoltura molto peculiare con prodotti di esportazione di altissimo livello, quindi ci sono diversi aspetti che uno studio a scala globale come il nostro non può vedere.
Ma l’obiettivo della nostra ricerca era fornire una base ampia di confronto per poi affinare l’analisi e approfondire le specificità dei contesti.