Abbandonare il gas per ridurre le bollette: lo studio di ECCO

Il Giusto Clima   Approfondimenti   
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21 Ottobre 2025

Con una domanda di gas in calo in Italia, nuove infrastrutture non sono necessarie: sarebbero sottoutilizzate e rappresenterebbero degli stranded asset, costi “incagliati”, che ricadono sui consumatori in bolletta.

Nel 2022 il gas era l’ossessione della politica italiana ed europea. L’invasione russa dell’Ucraina aveva portato alla decisione di interrompere i flussi di combustibile provenienti da Mosca; il famoso gasdotto North-Stream 2 era saltato in aria per colpa di mani ancora sconosciute, forse ucraine o forse polacche. In quel contesto, l’allora governo Draghi iniziò un ambizioso programma di investimenti sul gas fossile. Nel giro di pochi mesi si moltiplicarono i progetti relativi a gasdotti e rigassificatori, e si firmarono accordi con Paesi africani e mediorientali per diversificare le forniture.

Tre anni dopo, è tempo di bilanci. Un tassello del puzzle lo fornisce il think-tank Ecco, che ha realizzato poche settimane fa uno studio relativo al peso del trasporto del gas nelle bollette italiane. Francesca Andreolli è una delle autrici dello studio: la abbiamo intervistata nel corso della trasmissione Il Giusto Clima, in onda su Radio Popolare.

Che cosa stavate cercando e cosa avete trovato?

Con questo studio stimiamo gli impatti economici dei piani di sviluppo delle imprese di trasporto gas sui costi di rete – e quindi sulle bollette. Partiamo dall’assunto che la regolazione attualmente è tale che le imprese non sono davvero chiamate a coprire il cosiddetto rischio di volume, cioè la possibilità che il flusso di gas trasportato cambi. Questo rischio è a carico dei consumatori, sia privati sia imprese. Questo lo dice la stessa SNAM nella sua relazione finanziaria del 2024. [SNAM è il principale operatore italiano del settore; lo Stato ne è azionista di maggioranza]. In quel documento si spiega che il 99.5% dei ricavi è garantito, proprio perché sono assicurati dalle bollette.

Si diceva ai tempi dell’invasione russa in Ucraina che all’Italia servono più infrastrutture per il metano – gasdotti, rigassificatori – per supplire allo stop delle importazioni da Mosca. Si arrivò al famoso “o il condizionatore o la pace”. Era giusta all’epoca quella analisi, ed è giusta oggi?

No. Noi già tempo fa abbiamo pubblicato un’analisi delle necessità italiane relative al gas di fronte al mutato contesto geopolitico. Cercavamo di capire se fosse possibile e necessario diventare un hub del gas, che porta combustibile dall’Africa al nord Europa. Il risultato è che non abbiamo rilevato la necessità di nuove infrastrutture. Anche il rigassificatore di Piombino, che ora si vorrebbe trasferire a Vado Ligure, non era necessario. Tutte queste infrastrutture già nel breve termine rischiano di essere sottoutilizzate. Sono i cosiddetti stranded cost, costi incagliati che – come spiegavamo – pagano in bolletta i consumatori.

Rischiamo di avere troppe infrastrutture per il gas?

Esattamente. Non sarebbero troppe se la domanda di gas non diminuisse. Ma questo significherebbe che non stiamo decarbonizzando, che stiamo rimandando i nostri obiettivi climatici e di sicurezza energetica. Metto l’accento su questo secondo aspetto: ridurre le importazioni di gas significa ridurre la dipendenza dall’estero.

Parliamo di costo dell’energia. Primo, questo meccanismo che descrivi sta aumentando il costo dell’energia? Secondo, come lo diminuiamo?

Sì, il rischio è aumentare il costo del gas sul medio e lungo termine. E questo impatta su quei consumatori che più difficilmente riescono a decarbonizzare, perché non hanno la possibilità di fare certi investimenti e spostarsi sul vettore elettrico – che è il primo ad essere decarbonizzato, pensiamo che già oggi il 40% dell’elettricità è rinnovabile. Per ora abbiamo guardato solo al trasporto, ma nei prossimi mesi studieremo anche la distribuzione. I costi insomma aumenteranno, e saranno a carico dei più fragili.

Come si risolve? Una possibilità è continuare ad installare rinnovabili, decarbonizzare. Ridurre il consumo di gas nella generazione elettrica fa sì che i benefici dati dalle rinnovabili – che hanno costi minori – vengano riflessi in bolletta. Poi, si possono riequilibrare certe componenti fiscali e parafiscali che oggi favoriscono il gas. Per come è strutturata la bolletta, riscaldare casa con una pompa di calore elettrica – nonostante sia tre o quattro volte più efficiente della caldaia a gas – costa di più. Serve riequilibrare le strutture tariffarie.

Questa è la strada per voi. L’Italia come sistema paese sta andando nella direzione giusta?

Sul tema relativo allo studio, ad esempio, la regolazione sta cercando di fare dei cambiamenti. Si sta valutando di premiare maggiormente l’efficienza del sistema. Ma appunto, i cambiamenti avvengono abbastanza lentamente. C’è da formalizzare un piano di uscita dal gas, che inquadri anche la riduzione della domanda all’interno dei piani di investimento degli operatori. Il rischio è scommettere oggi su infrastrutture che a breve saranno sottostimate, e avrà un impatto economico rilevante. Prima cosa da fare, insomma, è il piano di phase-out, di uscita dal fossile.